Un deficit di qualche funzione sensoriale, motoria o mentale, ha degli impatti notevoli sulla psiche di chi vive la condizione di minorazione. La sfida in questi casi è quella di non soccombere del tutto sotto il peso di tali implicazioni emotive.
Una persona affetta da un deficit o una diversabilità mostra rabbia o depressione e chiusura verso il mondo, In un processo di integrazione della disabilità sia la depressione che la rabbia possono mutare in altro; la prima può lasciare spazio ad una sensibilità particolare verso le sofferenze altrui e segnare una tappa di maturazione che porta ad una nuova visione della vita e dei rapporti umani, la seconda può venire utilizzata come un potente motore di autoaffermazione, trasformandosi in grinta ed energia vitale.
La sofferenza psicologica varia in base alla tipologia di danno/disabilità o deficit, alla sua insorgenza e dai fattori sociali e relazionali in cui la persona vive.
Da un lato essere nati già con una diversabilità permette di abituarsi piano piano alla propria condizione rispetto a chi fa i conti con la diversabilità in età avanzata, dall’altro lato invece chi nasce disabile prova tanta sofferenza in fasi molto delicate del proprio sviluppo rischiando di compromettere il successo in alcune aree.
Il contesto familiare ha un ruolo importantissimo; più esso ha delle difficoltà ad accogliere la diversità durante l’infanzia, più la persona diversabile si percepirà come difettosa e farà fatica a volersi bene e ad apprezzarsi nonostante il problema. La presenza del rifiuto nella mente dei genitori si traduce in fare finta di niente, in minimizzazione se non in vera e propria punizione, a cui spesso si contrappone la risposta ansiosa di iperprotezione, che risulta altrettanto castrante.
Questo atteggiamento da parte della famiglia non permette alla persona diversabile di accettarsi per ciò che è, a tal proposito l’accettazione di se stessi risulta essere l’unico modo per affrontare la tempesta emotiva che la condizione di diversabilità porta.
È molto importante che la persona diversabile impari a fare da solo e a sperimentare, senza essere continuamente sostituito dai genitori, anche per essere consapevole di potercela fare anche da solo.
La persona diversabile inoltre incontra molte difficoltà a fare amicizia con i coetanei e vive spesso in una condizione di emarginazione perché ha dei vissuti particolari e pesanti che gli impediscono molte volte di lasciarsi andare e fare amicizie “leggere”. D’altro canto bisogna dire anche che spesso la disabilità diventa un elemento di esclusione nel contesto sociale, in particolare in quello dei coetanei, soprattutto nelle scuole poiché non si è educati alla diversabilità o diversità in generale. Ciò comporta una sofferenza nella persona avente una disabilità poiché non farà altro che aumentare le sue insicurezze. E’ necessario educare alla diversità sin dall’infanzia per far sì che tutto questo non avvenga, in modo che la diversità non venga considerata come un problema ma come un valore aggiunto.
Vivere la leggerezza, lasciarsi andare alla frivolezza, alla bellezza del rapporto interpersonale in quanto tale, senza aspettative di essere compresi è la sfida più difficile.
La persona disabile ha bisogno di liberarsi da ciò che lo affligge, e di comprendere che i suoi talenti o punti forti possono essere ancora più “potenti” grazie alla sua condizione, quindi trasformarla in un punto di forza.
Ciò si traduce operativamente nel potersi mostrare al mondo senza ostentazione ma anche senza l’angoscia di venire etichettati. Restando curiosi verso ciò che c’è fuori. Capendo che tutti gli esseri umani hanno delle problematiche senza saperlo. Occupandosi, per quanto possibile, di ciò che fa sentire vivi.
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