“Disabilità” è un termine ampio che comprende molteplici situazioni: in generale, il concetto di disabilità riguarda una ridotta capacità di interazione con l’ambiente sociale rispetto a ciò che è considerata la norma a causa di una menomazione. Le disabilità possono essere transitorie o permanenti, reversibili o irreversibili, progressive o regressive. Inoltre, possono insorgere o come conseguenza diretta di una menomazione oppure come reazione psicologica del soggetto a una menomazione fisica, sensoriale o di altra natura.
Nonostante ci siano stati numerosi progressi nei confronti della diversabilità e di come viene percepita, nella nostra società sono presenti ancora numerosi scogli, sia per quanto riguarda alcune carenze nei servizi, sia per quanto riguarda atteggiamenti e pregiudizi da parte degli altri, poiché vi è una tendenza a etichettare le persone aventi una qualsiasi disabilità senza guardare oltre. È stato riscontrato in alcuni studi che il 91% delle persone prova nei confronti degli individui con disabilità un sentimento di solidarietà e una motivazione a rendersi utili, ma anche un’ammirazione per la loro forza di volontà (86%). Allo stesso tempo, il 54% delle persone prova sentimenti di imbarazzo e di disagio, il 34% ha paura di offendere involontariamente e, infine, il 14% delle persone è indifferente e non si sente toccato dalla situazione.
Nel nostro modo di approcciarci alla diversabilità, spesso utilizziamo, anche involontariamente, alcune retoriche, ovvero dei modi di comunicare che derivano da aspetti culturali e che possono influenzare il modo di pensare alla disabilità. Tra queste modalità di comunicazione, tra le più diffuse distinguiamo la “retorica della compassione” e la “retorica della normalità”.
Nella retorica della compassione vi è un atteggiamento nei confronti della disabilità spesso indulgente e morbido: questo modo di agire contribuisce ad uno stereotipo della persona con disabilità come incapace, bisognosa di assistenza continua ma anche priva di personalità e impossibilitata a realizzare un proprio percorso di vita in autonomia. Questa eccessiva compassione porta a considerare la persona diversabile come un eterno bambino; un esempio ricorrente nella nostra società di questa visione “infantilizzante” lo troviamo nei confronti delle persone affette da Sindrome di Down, che a causa delle loro difficoltà dal punto di vista comunicativo e relazionale, vengono trattate con eccessiva compassione.
La retorica della normalità, invece, rappresenta la modalità più diffusa di approcciarsi alla disabilità e riguarda un modo di inserire le differenze all’interno di un concetto di normalità, enfatizzando le capacità che più si avvicinano alla norma e gli aspetti positivi della persona. Tale atteggiamento vuole rientrare nel politicamente corretto, ma in realtà nasconde un tentativo di fare una buona impressione e un rifiuto nei confronti della diversità, cercando di normalizzarla a tutti i costi: la diversità, invece, esiste e deve essere accettata per ciò che è.
Proprio per questo, bisogna comprendere il reale valore della diversità e il grande contributo e arricchimento che questa potrebbe dare alla società se venisse accettata e valorizzata in quanto tale. Queste retoriche, pertanto, rappresentano un atteggiamento che contribuisce a esclusione e oppressione. La persona con disabilità presenta delle differenze e si presenta agli altri come “diverso”: tuttavia, come già detto in precedenza, tale diversità non deve intaccare la sua dignità, poiché prima di essere diversabile è innanzitutto una persona come tutte le altre. Per riconoscere la dignità di ciascuno, Ricoeur(2005) distingue un’etica anteriore, in cui siamo portati a livello morale ad accettare l’altro in senso assoluto, a prescindere dalle sue caratteristiche, e un’etica posteriore, in cui siamo pronti a riconoscere l’altro e ad accoglierlo. Per garantire una qualità della vita che tenga in considerazione questa diversità, la società dovrebbe concentrarsi su sei categorie di benessere:
- Benessere fisico, che riguarda la salute, la nutrizione, la forma fisica, ecc.
- Benessere materiale, che include ricchezza e la qualità dell’ambiente in cui vive il soggetto, ad esempio trasporti e sicurezza.
- Benessere sociale, che riguarda la qualità delle relazioni, il coinvolgimento all’interno della comunità e l’inclusione sociale.
- Benessere produttivo, che comprende lo sviluppo personale, di abilità e di competenze, l’autodeterminazione e le attività costruttive per la persona.
- Benessere emozionale, che riguarda la salute psichica.
- Benessere civico, che riguarda il rispetto di privacy, aspetti legislativi, diritto di voto e responsabilità civili.
Un ulteriore aspetto importante è l’educazione, campo della pedagogia speciale, poiché l’ambiente educativo è fondamentale per il benessere della persona e per il suo sviluppo. Possono esserci, però, delle condizioni di povertà educativa, ovvero disuguaglianze nell’accesso all’apprendimento e nello sviluppo di competenze, portando a esclusione sociale e dispersione scolastica. Tale povertà educativa può presentarsi in una condizione di doppio svantaggio quando, oltre alle difficoltà economiche, è presente anche una diversabilità: l’ambiente sociale, in particolare la scuola, per essere inclusivo dovrebbe contrastare tali situazioni e prevenire sofferenze nei soggetti più a rischio, rispondendo ai bisogni di tutti.
Gli insegnanti di oggi notano sempre di più come alcuni bisogni e difficoltà siano maggiori rispetto al passato. Oggettivamente, ci sono delle condizioni che sono in aumento dal punto di vista epidemiologico, come i disturbi dell’attenzione. Inoltre, vi è una migliore capacità diagnostica rispetto al passato, insieme a una migliore capacità osservativa degli insegnanti e una migliore capacità di riconoscere alcune condizioni. Tale attenzione sempre più crescente nei confronti dell’educazione e delle possibilità di accedervi, ha portato col tempo alla formazione di una macro-categoria, ovvero quella dei Bisogni Educativi Speciali.
“Il bisogno educativo speciale è qualsiasi difficoltà evolutiva, in ambito educativo e apprenditivo, espressa in un funzionamento, nei vari ambiti della salute secondo il modello ICF dell’OMS, che risulti problematico anche per il soggetto, in termini di danno, ostacolo o stigma sociale, indipendentemente dall’eziologia, e che necessita di educazione speciale individualizzata“.
Per definire la problematica dell’alunno a livello oggettivo, quindi, prendiamo in considerazione tre criteri di valutazione: il danno, l’ostacolo e lo stigma sociale.
- Il danno è qualcosa di concreto, effettivamente vissuto dall’alunno e rappresenta una reale difficoltà per sé e per gli altri
- L’ostacolo è qualcosa che rende più difficile lo sviluppo fisico, emotivo, cognitivo, relazionale e motivazionale dell’alunno ed è presente quando il danno non è chiaro e, quindi, non è possibile lavorarvi direttamente per favorire l’inclusione del discente;
- Facciamo, infine, riferimento allo stigma sociale quando non sono riscontrabili chiaramente un danno o un ostacolo, ma tale stigma contribuisce ugualmente a creare un’immagine socialmente negativa della persona, aumentando i pregiudizi e ostacolandola a livello scolastico, limitandola nell’accesso all’apprendimento e nello sviluppo di sane relazioni con i pari.
Basandoci su questi tre criteri, secondo il sistema classificatorio dell’OCSE, i BES, nonostante siano una categoria eterogenea, si dividono in tre gruppi:
- Individui con disabilità, che fanno riferimento alla legge 104/92, che necessitano di insegnanti di sostegno e fanno riferimento al PEI (Piano Educativo Individualizzato).
- Individui con disturbi evolutivi specifici, soprattutto disturbi specifici dell’apprendimento, che fanno riferimento alla legge 170/10 e usufruiscono del PDP (Piano Didattico Personalizzato).
- Individui con svantaggio socio-economico e linguistico, ad esempio ragazzi che vivono in condizioni di povertà o ragazzi che non hanno l’italiano come lingua madre. In questo caso, l’utilizzo del PDP, non essendo obbligatorio per legge, viene deciso dal consiglio di classe.
In sintesi, il BES deriva dalla combinazione di fattori contestuali, ambientali e personali. Ciò rende questa categoria estremamente eterogenea, in quanto prende in considerazione molteplici realtà, caratterizzate da problemi biologici e corporei, contestuali, sociali e così via e dalla loro interazione.